"Per capire che cosa si intende per morte probabilmente occorrerebbe che fosse chiarito il concetto di vita”
La necessità della nostra convivenza terrena si lega in maniera ineluttabile al concedersi e al sopportare il pensiero altrui. Il manierismo egocentrico del nostro aspetto porta sempre più alla totale perdita della concezione degli altri e della loro parte intellettuale.
Ma, cosa potrebbe essere della nostra società se finalmente una morte, almeno simbolica, ne accentuasse la paura della fine, allontanandoci per sempre dalla fatica terrena del trascinarsi senza sosta?
É da questa riflessione che nasce il lavoro di Federica Poletti sulla figura, triste e nobile dell’Accabadora: un essere femminile, materno non-materno, capace di mettere fine alle altrui sofferenze.
Detta anche L’Ultima Madre, sola, nell’oscurità della notte, interrogando e interrogandosi sullo stato paradossale di sofferenza senza speranza alcuna di chi vorrebbe fare il passo verso l’oltre ma, per una serie di motivi è bloccato e non può farlo strappa dalla vita terrena l’anima dell’infermo, ormai senza più speranze.
Non un mito dunque, non una leggenda , ma una donna di meravigliosa Misericordia.
«Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»
Forse smettere di soffrire per la nostra impreparazione alla felicità, non è dopotutto così illusoria come condizione?